Alzarsi una domenica mattina, salire in macchina e partire alla volta della caldara di Manziana: cosa non farebbero i vostri eroi pur di farvi leggere (e vedere) qualcosa di succulento?
Si parte alla buon’ora: alle 7.00 siamo già in… ehm, no, alle 7 siamo ancora a letto, ma 5 minuti e ci alziamo eh! ché ci aspettano le acque ribollenti di manzianazzzz… zzzzz… zzz.
STOOOOOP!
Ricominciamo…
TREEAVELLER A MANZIANA, INCIPIT, DUE… CIAK!
AAAAAAZIONE!
Sono le 10.00, la mattina è docile e stiamo per salire in macchina, destinazione Manziana, che da Roma dista solo 70 chilometri: per quale motivo saremmo dovuti partire prima?
Lungo la via decidiamo di prendere qualcosa da mangiare: ci imbattiamo in un discount lungo la via Cassia: piadina, affettati, insalata e generi di conforto a base glucosio. E acqua. Abbiamo tutto, ora. Durante il viaggio mi parte il concione sulle caratteristiche geomorfologiche della zona, e per farlo utilizzo la mia solita verve da pagliaccio Baraldi:
Siamo nel Pleistocene, e il cielo fiammeggia di piroclastiti: il magma risale dalle viscere della Terra e sconvolge il paesaggio. E’ tutto un BOOOOM!, FIIIIII!, SKABOSH!, TRUUUUUUM!, ROOOOOR!, sì insomma assomiglia a un episodio qualsiasi degli Avengers.
Alla fine di tutti questi effetti speciali, che per la cronaca sono durati centinaia di migliaia di anni, mica la robetta che produce la Industrial Light & Magic, tutto sprofonda.
Il paesaggio come lo vediamo ora è il risultato di tutto quel casino, e la caldara di Manziana non è che un piccolo brufolo dell’enorme vulcano sabatino, ormai passato a futura memoria.
Siamo a Manziana, da qui proseguiamo lungo la Strada Provinciale 2c. Dopo 5 km raggiungiamo il bivio con via della Caldara: o almeno avremmo dovuto. Invece è talmente nascosto che non lo vediamo, proseguiamo dritti e finiamo in un posto dimenticato da dio, ma che per fortuna non si chiama Frittole. Torniamo indietro e prestando maggior attenzione scoviamo il bivio, imbocchiamo la strada e dopo 500 metri e più di un comodo sterrato raggiungiamo un parcheggio. Davanti al parcheggio un cancello. Sopra il cancello un cartello: “gas tossici, pericolo di morte”. Bene, buongiorno anche a voi.
Entriamo, la caldara alla nostra sinistra. Ma noi, furbi, andiamo dritti: vogliamo cogliere di sorpresa la caldara, prenderla alle spalle. Ah! Non la si fa a noi di Treeaveller! Dopo un’ora di cammino tra viuzze, mulattiere, alvei torrentizi, macchia mediterranea, insetti più o meno molesti, capiamo che ci stiamo perdendo. Non c’è problema, si torna indietro, non senza un certo orgoglio:
– In fondo volevamo fare anche questa parte!
– Eh, certo!
– Immagina cosa ci saremmo persi!
– Uh! non mi ci far neanche pensare!
– Certo che siamo sempre avanti noi, eh?
– Un casino!
Sudati come un Nadal qualunque giungiamo infine alla caldara. Lo spettacolo delle betulle bianche ci fa tornare subito il buon umore. Attacco il mio concione naturalistico: “Si tratta di un residuo di flora glaciale pleistocenica oppure è un relitto dovuto ad antropizzazione che…” YAAAAAWN, viene da sbadigliare anche a me. Meglio tapparsi la bocca e fare fotografie.
Prima dell’ingresso in caldara, un diorama illustra graficamente la situazione geomorfologica:
Consiglio: andate fin sotto alle acque che bollono, là dove potrete fare le foto più suggestive, ma fate attenzione alle esalazioni di gas, a volte possono davvero togliere il respiro. In ogni caso, a meno che non decidiate di sdraiarvi a terra, direi che rischi non ne correte.
E’ l’ora di godersi il paesaggio, a metà tra un’incisione di Dorè e un film di Antonioni.
Dopodiché fate come noi: rollatevi una piadina e godetevi appieno questa atmosfera da fine Pleistocene…
Attenzione! Di questo post esiste anche una versione molto più seria: de gustibus…